
Non posso certo dire che il libro mi abbia entusiasmato, certamente mi ha aperto uno stralcio su alcuni retroscena della complicatissima storia della band americana, sui suoi continui cambi di line-up e sulla personalità, certamente disfunzionale, di Eddie Van Halen.
Proprio il chitarrista è quello che esce peggio da tutta la narrazione, un ragazzo prodigio che cede sotto la pressione della fama e del talento (immenso) di cui è pervaso. Una persona fragile, un soggetto afflitto da dipendenze, soprattutto quella dall’alcol, che ha rischiato più volte di mandare tutto all’aria.
Nell’eterna diatriba tra quale sia stata la migliore voce al microfono della band, David Lee Roth o Sammy Hagar (dimentichiamoci Gary Cherone, al quale viene comunque dedicata una sezione del libro), l’autore sembra riuscire a mantenersi abbastanza equilibrato, anche se si percepisce una certa propensione verso la formazione storica dei Van Halen rispetto a quella con il Red Rocker. L’imparzialità va però a farsi benedire nel capitolo “Bonus Track F - Van Hagar per negati” in cui, citiamo testualmente, il cappello introduttivo chiude così: «Ecco quindi, le canzoni menu brutte dei Van Hagar»…

Insomma, quattro giorni di lettura mi hanno lasciato un’immagine un po’ triste di Eddie, qualche retroscena che non conoscevo e la voglia di saperne un po’ di più.
Gualtiero 'BigG' Tronconi
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